Le donne italiane hanno svolto un ruolo di primo piano durante la Resistenza. Oggi, 25 aprile, vogliamo ricordarle e celebrarne la memoria.
Ogni anno, il 25 Aprile, l’Italia celebra la sua Liberazione dal regime nazifascista, un traguardo raggiunto grazie al coraggio e al sacrificio di tanti. La Resistenza italiana non sarebbe stata la stessa senza il contributo di oltre settantamila donne, che spesso hanno operato nell’ombra, sfidando il regime e mettendo a rischio la propria vita.
Il loro contributo è stato spesso trascurato e sottovalutato, ma le donne hanno svolto un ruolo cruciale nella Resistenza italiana. Donne di formazione diversa, di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali. Ragazzine, mogli, madri, che hanno combattuto al fianco degli uomini per la liberazione del Paese dal giogo nazifascista. Ed hanno resistito con tenacia, ingegno e tanto coraggio, in prima linea o dietro le quinte.
La metà delle settantamila donne che secondo i dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) hanno fatto la Resistenza, si sono esposte in prima linea. Hanno combattuto come partigiane, guidato formazioni e compiuto azioni di sabotaggio.
A migliaia sono state arrestate e torturate, oltre duemila e settecento sono state deportate in Germania, oltre alle migliaia di donne partigiane fucilate o impiccate. Tra le figure più iconiche della Resistenza, troviamo le famose staffette: donne coraggiose che trasportavano messaggi, armi e materiali vitali tra i distaccamenti partigiani, sfidando quotidianamente i pericoli e la repressione nazifascista.
Come Anna Maria Mammucari, nome di battaglia Marietta, che ha attraversato le Alpi a piedi per ben cinque volte, o Giuseppina Tasso, che operava instancabilmente nell’Italia centrale.
Ma l’impegno delle donne della Resistenza non si è limitato al ruolo di staffette. Anna Maria Enriques, ad esempio, era un medico che si è unita ai partigiani e che ha prestato soccorso ai feriti e organizzato la lotta armata nelle zone rurali.
L’intellettuale e antifascista Ada Prospero, moglie di Piero Gobetti, è stata una comandante partigiana e fondatrice dei Gruppi di difesa della donna e del movimento femminile Giustizia e Libertà.
Movimento al quale ha aderito tra le altre, anche la combattente della Resistenza Gisella Floreanini. Durante i 40 giorni della Repubblica della Val d’Ossola, sorta nel Nord Italia, Gisella è stata la prima donna a conquistare la carica di Ministra quando alle donne non era neppure riconosciuto il diritto di voto.
Nel dopoguerra è stata eletta alla Camera dei Deputati. Lì ha portato aventi una serie di battaglie per la parità delle donne, come quelle per la tutela della maternità e dell’infanzia, per la parità salariale e contro il licenziamento delle donne sposate.
Parlando delle donne della Resistenza, poi, non si può non citare Tina Anselmi, staffetta partigiana che con il nome di battaglia “Gabriella” ha rischiato la cattura ogni giorno per portare messaggi e rifornimenti ai compagni.
La Anselmi è stata tra le fondatrici della Democrazia Cristiana e la prima donna ad aver ricoperto la carica di ministro della Repubblica Italiana. O Teresa “Chicchi” Mattei, partigiana, imprigionata e torturata dai nazisti, la più giovane delle donne dell’Assemblea Costituente.
Tra le donne della Resistenza ricordiamo anche Carla Capponi, una ragazza romana che nel 1943, a 25 anni, si è unita ai GAP (Gruppi di Azione Patriottica). Non le è stata consegnata nemmeno un arma, per le donne non era previsto armamento.
Carla è stata costretta a rubare una pistola ad un militare fascista. La mattina del 23 marzo, la Capponi ha preso parte alla più importante azione di Resistenza messa in atto a Roma. Ovvero l’attentato di via Rasella, vendicato dai nazifascisti con l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
E qui vale la pena aprire una parentesi sulle decine di migliaia di donne che, anche se non hanno mai impugnato un arma, hanno fatto ugualmente la Resistenza. Quella civile, silenziosa. Perché resistere vuol dire anche sopportare gli stenti e le privazioni, le angherie e la mancanza di libertà.
Tante donne vagavano per le carceri alla ricerca di notizie sui loro padri o mariti, e molto spesso si ritrovavano a piangerli, perché arrestati e uccisi. “Kaputt”, dicevano i soldati tedeschi alle madri e alle mogli che andavano a chiedere notizie dei loro uomini detenuti nel carcere di Regina Coeli a Roma, e trucidati alle Fosse Ardeatine.
E poi donne che davano rifugio ai partigiani, o che si ingegnavano, nei mesi grami dell’occupazione, per trovare qualcosa da mettere nel piatto e sfamare i figli. Una di queste figure femminili è magistralmente descritta da Elsa Morante nel suo capolavoro “La Storia”.
La protagonista Ida non è una combattente ma come moltissime altre donne di quell’epoca vive ugualmente la Resistenza. Il figlio maggiore, Nino, dopo aver militato nelle squadriglie naziste si unisce ai partigiani. Mentre l’altro figlio, Useppe, Ida lo ha partorito nonostante fosse il frutto di una violenza subita da un soldato tedesco.
È impossibile ricordare in un articolo i nomi di tutte le donne che hanno dato il loro contributo alla Resistenza, perché sono decine di migliaia: 35.000 secondo l’ANPI. Citiamo Tina Piemontese, partigiana e staffetta.
Catturata dai fascisti fu torturata ma non parlò mai. Condannata a morte, fu fucilata a Torino nel 1944. Anna Maria Enriques, staffetta partigiana. Arrestata a Milano fu deportata nel lager di Ravensbrück, dove morì di stenti nel 1945.
Angela Lazzarini e Virginia Longhi, fucilate dai fascisti nel Montefeltro a 26 anni, nel 1944.
E poi Iris Versari, che si è unita alla banda partigiana del suo compagno Silvio Corbari ed ha condiviso la vita clandestina e le azioni di resistenza. Durante un azione lei e i suoi compagni furono accerchiati dai nazifascisti.
Iris, ferita alla gamba, uccise un soldato ma, impossibilitata a fuggire, si sacrificò per permettere agli altri di fuggire. Il suo corpo, esposto a Forlì come monito, è diventato un simbolo di coraggio e resistenza.
Iris Versari è tra le 19 donne che hanno avuto una medaglia d’Oro al Valor Militare. Un numero irrisorio di riconoscimenti, rispetto alle migliaia di donne hanno preso parte alla Resistenza. E questo dimostra come il contributo delle donne alla Resistenza sia stato spesso sottovalutato e dimenticato.
Invece le donne della Resistenza italiana sono state figure straordinarie che hanno combattuto per la libertà e la giustizia in un momento tra i più bui della storia. E bisogna continuare a ricordare e celebrare il loro coraggio e il loro sacrificio.
Non solo considerandole eroine di un’epoca passata. Ma prendendole come un grande esempio di coraggio, determinazione e impegno per la costruzione di un futuro migliore.
A chi volesse approfondire consigliamo la visione del docufilm di Liliana Cavani “Le donne nella Resistenza”. Sono una serie di interviste a donne sulla loro partecipazione alla lotta di liberazione e sui motivi che le hanno spinte a ribellarsi al fascismo, disponibile sulle Teche Rai.
Altra visione utile per approfondire il tema è quella di “Bandite” del 2009, diretto da Alessia Proietti e Giuditta Pellegrini.
Un documentario che indaga l’esperienza delle donne che dal ’43 al ’45 hanno combattuto nelle formazioni partigiane. E poi “Libere” un docufilm del 2017 diretto da Rossella Schillaci sul ruolo delle donne durante la Resistenza italiana. È stato realizzato attraverso il recupero di testimonianze d’archivio di donne partigiane con immagini e filmati d’epoca.
Le donne della Resistenza rappresentano un esempio di coraggio, altruismo e determinazione. Le loro storie sono un patrimonio inestimabile, e noi abbiamo il compito di custodirlo e tramandarlo alle nuove generazioni.