Il vostro piccolo bebè è nato e fin da subito si fa sentire. Un caratterino davvero niente male per essere un neonato. Esistono diverse tipologie di carattere o temperamento nel neonato, il tuo bimbo a quale apparterrà? Sarà vivace oppure un bimbo tranquillo e pacato? e poi, è vero che il carattere si forma con il tempo oppure è già tutto scritto sin dal suo primo vagito? Alcune ricerche hanno dimostrato che certamente, i fattori ambientali, sociali e parentali determinano la formazione del carattere del nascituro. Il bebè, d’altronde, percepisce gli stati d’animo della mamma sin da dentro il pancione e ne è influenzato grosso modo. Ma questo non è tutto, ovviamente la serenità tra la madre e il padre, vivere in un ambiente tranquillo permette al bimbo di crescere e rafforzare un carattere sereno e sicuro, a differenza di quei bimbi che sono costantemente immersi in ambienti poco sereni e tendenzialmente violenti. Ma se, aldilà dei fattori sociali e familiari, il carattere e il temperamento di un neonato pare essere innato. Infatti, spesso alcuni genitori di fronte al proprio bebè urlante e super vivace, non si capacitano da chi abbia preso il suo carattere – la mamma e il papà erano così tranquilli da piccoli – dicono le nonne e i parenti più stretti. Ma prima di ogni altra cosa vogliamo capire cos’è il temperamento di un neonato e quali sono le sue tipologie.
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Secondo recenti studi di psicologi infantile sembrano dimostrare che il carattere dell’individuo non dipende soltanto dalle situazioni a cui va incontro durante le diverse fasi della vita. Ci sarebbe una parte del carattere, quello che chiamiamo temperamento è un carattere distintivo genetico immodificabile di ogni essere umano. Gli studi sono stati condotti degli studi su gemelli monozigoti cresciuti in famiglie adottive differenti. Il temperamento è il modo in cui un individuo reagisce all’ambiente circostante e in risposta agli stimoli esterni e compare precocemente nell’individuo. Tutti i neonati per esempio piangono, ciò che cambia è il “come” piangono: quanto forte? Per quanto tempo? Per quali cause? Alla fine degli anni ’70 due famosi pediatri americani, Thomas e Chess, hanno definito il temperamento come un attributo dell’individualità, ovvero un tratto distintivo che rende una persona unica a prescindere dalla famiglia e dall’educazione. Basta osservare due fratelli cresciuti nella stessa famiglia, quasi mai hanno carattere e temperamento uguale. Che il carattere di ogni persona si formi e si modifichi crescendo, è fuori discussione. Ogni esperienza della nostra vita – soprattutto nei primi anni di vita – contribuisce a renderci ciò che siamo. Se fosse tutto qui, però, tutti i bambini appena nati sarebbero uguali. L’esperienza, invece, ci insegna il contrario. Le differenze si notano fin dai primi giorni di vita e, prima ancora, da quando i bimbi sono ancora nella pancia. Alcuni scalciano più di altri, qualcuno si calma con la musica classica, qualche altro si agita. Insomma: la differenziazione comincia davvero presto!
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L’attività di attrazione dei caratteri altrui per la formazione del proprio stile comportamentale avviene sia consapevolmente che inconsapevolmente, da parte di tutte le persone che abitano la terra, non solo da parte dei bambini. L’apprendimento non si ferma mai, nemmeno da anziani (è dimostrato). Tutti prima o poi copiamo comportamenti altrui e ne verifichiamo l’efficacia applicandoli sulla nostra esperienza di vita e/o contesto sociale. Si sospetta che il carattere si sviluppi solo in alcuni momenti precisi, i cosiddetti fallimenti e che poi questo carattere “resti dormiente” fino al prossimo fallimento.
Quando sento qualcuno dire “è il suo carattere che ci vuoi fare” non posso evitare di leggervi all’interno un senso che mi preoccupa, accettando che i bimbi possano avere un “carattere” già definito stiamo anche dicendo a noi stessi: “non voglio cambiare il mio comportamento per dare il buon esempio a un bambino, perché tutto sommato mi fa comodo il tipo di relazione che ho costruito finora“. Sapere che il carattere è in continua evoluzione invece è come dire a noi stessi che dobbiamo stare sempre all’erta, sempre attenti ai nostri istinti perché il bambino potrebbe assimilarli in qualsiasi momento.
I bambini formano il loro carattere durante i nostri fallimenti, infatti fotografano quella nostra azione istintiva, ad esempio prendere a calci una sedia, e la “mettono in memoria”. Apparentemente sembra che non sia accaduto nulla, poi, dopo un mese rivediamo il bambino che durante un momento di stress prende a calci la stessa sedia. In tal caso abbiamo fallito come genitori per ciò che riguarda l’educazione di nostro figlio. E quindi, come modificare il nostro comportamento per il bene del bimbo?
Anzitutto, non siamo dei robot programmati a non fallire, quindi può capitare una perdita di controllo. Cosa fare? Accettiamo il fatto che ogni tanto possiamo anche fallire, non succede nulla di male e accettando quindi di aver fallito, in un certo punto del nostro ruolo di educatori, possiamo anche col nostro esempio far vedere al bambino che sappiamo imparare dai nostri errori, sappiamo accettare lo sconforto che ci deriva dall’aver messo in pratica azioni “non ottimali”, e che andiamo avanti. Soprattutto il modo in cui gestiremo il nostro fallimento di fronte ai figli, sarà il vero esempio che possiamo dare come genitori.
Il fatto che i piccoli abbiano il loro carattere già dai primi giorni di vita indica chiaramente come il fattore ereditario abbia il suo peso. Al contempo, però, è indubbio che le esperienze incidano sulla personalità dei più piccoli. I bambini sono come spugne: assorbono emozioni e stati d’animo. E poi imitano, osservano con attenzione ciò che accade loro intorno e replicano. Nei primi periodi, certo si osserva la mamma e il papà. Ma, man mano che crescono, cominciano ad imitare fratelli o sorelle più grandi, cugini, amichetti dell’asilo e via dicendo. Insomma una spugna che assorbe ogni cosa, positiva e negativa dall’esterno.
Abbiamo già accennato che sin da piccolissimi nei bambini è già chiaro il loro temperamento innato. Il carattere si forma, infatti, grazie all’ insieme di diversi fattori biologici, culturali, ambientali, sociali. Tante mamme raccontano che durante la gravidanza i loro piccoli erano più o meno agitati nella pancia ed hanno riscontrato lo stesso carattere una volta nati. Poiché siamo il risultato di vari mescolamenti genetici può succedere che si prenda un lato della personalità della nonna materna o dello zio paterno. Tutto ciò fa sorridere, ma anche riflettere. Ma come, il carattere non era innato? Assolutamente sì e continuerà ad essere così anche grazie alle esperienze che andremo a fare e, riguardo ai bambini, alle esperienze che gli faremo fare.
Un bambino che attorno a sé ha pochi stimoli ludici o culturali avrà un tratto della personalità poco sufficiente a differenza di chi vive esperienze legate a varie sfaccettature, faccio riferimento ai viaggi, alle letture, agli scambi comunicativi con gli adulti. Spesso i genitori preferiscono limitare i dialoghi con i figli soltanto se si riferiscono al loro dovere di alunno e quindi al rendimento scolastico. Far partecipare i bambini a discorsi “da grandi” come la politica, la guerra, la morte o la separazione dei genitori, utilizzando sempre un linguaggio appropriato e semplice, li porterà ad un arricchimento fondamentale per lo sviluppo della loro personalità. Prima di tutto avranno l’idea di far parte veramente del gruppo famiglia, si sentiranno importanti e questo a volte manca in molte famiglie.
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La seconda fase dello sviluppo infantile va, all’incirca, dalla fine del primo anno all’inizio del sesto. Si tende a suddividere questa fase in due momenti: il primo va da uno a tre anni (fase anale), il secondo da tre a sei anni (fase fallica).
Quando un bimbo compie un anno inizia a manifestare alcuni tratti di quello che sarà il suo carattere. E per educarlo è molto utile capire che tipo di carattere ha, e qual è il suo modo di essere., il suo temperamento. Il carattere di un bimbo è condizionato dall’ambiente che lo circonda, dalle esperienze che compie e dal modo in cui reagisce a queste. Esiste però anche un lato della personalità che ognuno porta con sé sin dalla nascita e che dura per tutta la vita. Si tratta del temperamento. Capire il tipo di temperamento di un bambino è utile per poterlo gestire al meglio. Così, è chiaro che occorre trattare i bimbi in modo differente, assecondando le caratteristiche di ognuno. In questa fase, identificandosi coi genitori, il bambino matura una prima superficiale coscienza morale, cioè una prima organizzazione di autocontrollo. Se il bambino avverte dentro di sé la presenza dei genitori (che ordinano o proibiscono o rassicurano e proteggono) anche quando essi sono assenti, allora vuol dire che è pronto ad una forma di comportamento autonomo. Ciò in quanto non è più solo una minaccia esterna (castigo o privazione) che regola il suo comportamento, ma la consapevolezza interiore di ciò che può e non può fare.
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Il periodo intorno ai due anni è importante e molto delicato. In questa fase i bambini iniziano ad esprimere il loro malcontento per qualcosa o qualcuno. I genitori spesso parlano di “capricci”e il “no” è la parola che più di tutte sentono ripetere dai figli. Consideriamo che questa è un’età in cui il vocabolario dei bambini è ancora ridotto, non riescono ad esprimersi in modo corretto e appropriato, pertanto la via d’uscita più facile da seguire è rifiutarsi di fare determinate cose o non rispondere alle richieste che gli vengono fatte. Non tutti i bambini frequentano, inoltre, il nido e non vivono a stretto contatto ogni giorno con coetanei o altri adulti perciò sono meno portati a seguire le regole imposte da soggetti estranei ai componenti della famiglia. In effetti è solo con l’entrata nella fase della scolarizzazione che il bimbo inizia a delineare bene il suo carattere. In questo periodo i bambini ricercano ancora i genitori e fanno affidamento su di loro, si fidano dei loro consigli e rispettano decisioni e regole. Il processo d’interazione nel gruppo si sviluppa sempre di più. Nel gruppo il bambino assume responsabilità più precise, dei ruoli sociali. Il gruppo dei coetanei ha anche una funzione di carattere normativo e disciplinare. I bambini tendono ad essere più facilmente amici che ostili tra loro (a meno che non subiscano pesantemente i condizionamenti degli adulti). Le loro amicizie però sono labili. Naturalmente favorisce l’amicizia la somiglianza di età, di intelligenza, di interessi e di socievolezza, nonché la possibilità di svolgere insieme certe funzioni di gioco e di apprendimento.
Con il terzo anno il bambino acquista coscienza del proprio essere, il bambino si accorge che può dire ‘no’ al mondo e con questa contrapposizione sperimenta più saldamente il suo essere. Questa viene chiamata la “crisi del terzo anno”. Tenderà a passare intorno al quarto anno d’età con l’entrata in una nuova fase più incentrata sulla creatività e il gioco.
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Quando si sente dire: I genitori non hanno poi, tutte le colpe o tutti i meriti! Questa è una frase vera ma è , anche, pericolosamente simile al grande classico “è il suo carattere che è cosi, accettalo“… che si sente spesso pronunciare dalle maestre, dai nonni o dalle persone che in generale non hanno capito quanto i bambini vengano influenzati dalle cose che diciamo, da quelle che non diciamo e soprattutto dai comportamenti che assumiamo quando non siamo attenti o meglio quando siamo istintivi.
Ciò che la gente chiama “carattere” è un’imitazione istintiva dei nostri lati istintivi. Istintiva è vero ma pur sempre imitazione, per cui anche “indirizzabile”. Questa dinamica è osservabile vivendo accanto ai bimbi e conoscendo le persone con le quali vivono: noterete infatti che introducendo una nuova persona nel vostro “cerchio” familiare, le sue abitudini istintive verranno introdotte dal bimbo all’interno del proprio “schema comportamentale”. Esempio: toni di voce, modi di fare, modi di dire: che sembrano dettati dal carattere, in realtà sono semplici imitazioni di istinti visti su altre persone.
Il bambino, soprattutto quando è piccolo attrae tante persone diverse e da ognuna prenderà un pezzo della propria personalità.Che il vostro bimbo sia timido o super socievole non è mai un caso; d’altronde, come recita il vecchio adagio “la mela non cade mai lontano dall’albero”.
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Per un genitore dire “no” al proprio figlio non è sempre semplice. A volte può capitare che quel “no” non si dica per il semplice fatto che non vogliamo sentire ancora una volta piangere il nostro piccolo (sbagliato); oppure non riusciamo a dire “no” perché ci dispiace, semplicemente vederlo piangere per qualcosa che non ha ottenuto. Ma in tutti questi esempi, e infiniti altri, non facciamo del bene al nostro piccolo bebè. Dobbiamo iniziare a dire di No anche da subito. E’ estremamente importante delineare un confine stabile e sicuro. Facciamo solo del bene per il carattere di nostro figlio. Per un bambino, anche piccolo, un divieto è sempre una frustrazione, ma è necessario e inevitabile iniziare a dire i primi No; da 0 a 3 anni, il “no” deve essere graduale così che il bambino abbia il modo e il tempo di abituarsi. In realtà già da pochi mesi il bebè impara progressivamente che ci sono dei ritmi e attività con regole abbastanza precise: impostare una routine (per esempio la nanna o la pappa) significa già impostare una disciplina soft. Nell’educazione dei bambini si deve mantenere un atteggiamento costante, fermo, coerente e devono lavorare in squadra: quindi le indicazioni dell’uno non devono andare in aperto contrasto con quello dell’altro.