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LIBRI: ‘Fiabe per pensare’

Biancaneve, Il gatto con gli stivali, I tre porcellini, Pollicino, Il brutto anatroccolo, Hänsel e Gretel, Riccioli d’Oro, Barbablù, Pic Badaluc, Giovannin senza paura, Kirikù e la strega Karabà: è possibile partire da questi racconti fantastici per indagare le riflessioni, le domande e i desideri dei bambini?
Sorprendente e raffinato, questo libro di Luigi Campagner, psicoanalista e scrittore, ha i piedi ben piantati nella quotidianità dei rapporti che si generano tra le mura domestiche, non meno che nei servizi per l’infanzia.
Il libro si pone al servizio della relazione come uno strumento utile ed efficace che, oltre a stimolare modalità interpersonali improntate alla cura e alla valorizzazione della competenza del pensiero del bambino, sa ascoltare, comprendere e guidare le ansie, gli interrogativi e le esperienze di genitori e operatori.
Per esempio fiabe come Pollicino o Hänsel e Gretel sono fiabe cariche di emozioni per l’adulto che le voglia ancora utilizzare, perché mettono a tema esplicitamente l’abbandono. Eppure ci può essere una certa diversità tra le sensazioni provate dal narratore, nella propria infanzia, all’ascolto di queste fiabe e quelle provate, successivamente, quando vi tornerà non più come fruitore, ma come narratore. Al ricordo di un piacere legato al racconto della fiaba di Pollicino potrà infatti sostituirsi una spiacevole e inaccettabile sensazione di crudeltà: il bambino provava simpatia per Pollicino, trovava conforto e incoraggiamento dalla capacità di iniziativa e dall’arguzia del piccolo protagonista, l’adulto invece, che ora si trova in imbarazzo per il medesimo racconto, non si pone più dalla parte del figlio (Pollicino), ma da quella dei genitori che lo abbandonano.
I particolari che catturano l’attenzione di un bambino sono diversi da quelli che colpiscono l’adulto e per questo occorre essere molto accorti nel non invadere il terreno di elaborazione del bambino con contenuti propri della vicenda adulta.
La struttura del pensiero di un bambino piccolo, che ancora non ha appreso a organizzare il proprio pensiero in modo sistematico, è molto più fluida e molto più associativa rispetto a quella di un adulto di media cultura.
Nel bambino il modo del pensiero diurno e il modo del pensiero nel sonno sono molto più ravvicinati e affini che non nell’adulto. Ciò vale anche per gli elementi simbolici che sono per il bambino molto più presenti e vividi di quanto lo siano per l’adulto. Ad esempio il valore simbolico che hanno gli animali per un bambino è quasi irreperibile nell’esperienza di un adulto civilizzato.
Molte altre fiabe di Andersen sono tristi e Il brutto anatroccolo è forse una delle più tristi sia da raccontare sia da ascoltare, eppure anche questa contiene, sia un messaggio manifesto o latente, tutti elementi di riscatto dalle difficoltà e dalle miserie.
Scritta nella prima metà del XIX secolo, Il brutto anatroccolo è una fiaba moderna anche in senso psicologico, perché i tormenti del piccolo protagonista sembrano provenire più dall’interno che non da minacce esterne: orchi, streghe, draghi ecc.
Certo è vero che il piccolo anatroccolo viene deriso per le sue fattezze, tuttavia questa pro-vocazione non diventa, come in altre fiabe, motivo di dedizione per un riscatto, ma sembra piuttosto avvolgere il protagonista di un alone malinconico dal quale, fino all’ultimo, non sembra in grado scuotersi. Né sembra sufficiente il semplice cambiamento della realtà di fatto. Quando il brutto anatroccolo ha ormai compiuto la metamorfosi in cigno continua a rimanere incredulo anche di fronte alla sua immagine riflessa nell’acqua.
Solo il riconoscimento esterno, degli altri cigni e dei bambini che li ammirano, scioglie, pian piano, le incertezze del giovane cigno che ancora sul finire della fiaba si dibatte tra la vecchia e la nuova identità. Questa fiaba sembra mettere in discussione certi imperativi che dominano la cultura pedagogica e psicologica da molti secoli, conosci te stesso! sii te stesso! O ancora, sii uomo, o comportati da par tuo ecc… In queste formulazioni la conquista dell’identità viene attribuita principalmente a uno sforzo interiore di consapevolezza. Qualcosa che deve essere tratto da sé stessi, al massimo con l’aiuto soccorrevole di un «ostetrica» spirituale come nella maieutica socratica. La fiaba ci avverte invece che il riconoscimento non avviene allo specchio come nel mito antico di Narciso, ma avviene nelle relazioni.
Come le altre fiabe, anche questa informa che l’avventura nelle relazioni può essere drammatica, non è senza rischi né senza frustrazioni. Prima dell’aurora trionfale introdotta dal finale fiabesco, possiamo infatti rintracciare nel testo dei passaggi davvero drammatici che ricordano (e probabilmente richiamano esplicitamente) la lotta per la vita e per la morte dell’autocoscienza hegeliana, nell’avventura della conquista della propria identità.
Luigi Campagner, laureato in Filosofia teoretica, lavora come psicoanalista a Milano e Varese. Socio analista della «Società Amici del Pensiero – Sigmund Freud»; membro del comitato scientifico della rivista «Libertà di educazione», ha inoltre diretto un noto centro lombardo per persone adulte portatrici di handicap psicofisici ed è co-fondatore dei centri Artemisia e Snodi per donne e madri in disagio e vittime di violenza e per il trattamento degli esordi del disturbo di personalità borderline. Tra i suoi scritti ricordiamo La scuola dei talenti (2007), Caso Eichmann. Banalità del male? (2011), L’inganno nell’amore. Le figure della seduzione in Kierkegaard (2014), L’avventura di essere donna (nuova edizione). Presso le nostre Edizioni ha pubblicato Figli! o Del vantaggio di essere genitori (2013), di cui è disponibile l’edizione e-book in inglese, dal titolo Children! Or the Advantage of Being Parents.
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