Il presidente della Sie, Andrea Lenzi ha spiegato che il primo figlio arriva sempre più spesso al di là dell’età fertile dell’uomo ovvero nella fascia dei 20-30 anni e il fenomeno riguarderebbe il 30% dei nuovi papà italiani: “Il nostro Paese in Ue è in cima alla classifica dell’età media del concepimento più alta”, ha detto Lanzi.
In questo scenario, la seconda o la terza paternità è un fenomeno molto diffuso sopra i 50 anni che riguarda ad esempio anche molti personaggi pubblici come Vittorio Gassman, Michele Placido, Gianfranco Fini, Flavio Briatore o Corrado Passera, mentre la prima paternità tra i 35-40 anni è un fenomeno più recente.
“Nel nostro Paese a partire dagli anni ’80 l’età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 ai 35 anni. Con estremi però che arrivano a superare i 40 anni. La definizione padri-nonni non indica adulti sessantenni, ma sopra i 45 anni: perché fare un figlio a 40-45 anni vuol dire averne 65 quando il figlio è maggiorenne”, sottolinea il presidente Sie.ù
“Purtroppo la nostra società ha assegnato alla riproduzione un ruolo tardivo, marginale e dedicato più a soddisfare il desiderio della coppia con il figlio come ultimo gadget della realizzazione sociale, dimenticando che la fertilità sia maschile che femminile è massima fra i 20 e i 30 anni. Tuttavia, la scienza sta utilizzando anche questa criticità non solo per venire incontro alle nuove richieste di schiere di aspiranti padri-nonni, ma anche per capire i meccanismi biologici cellulari e molecolari della fertilità maschile, e quindi recuperare la potenzialità fecondante del maschio ora drammaticamente in declino”.
Gli esperti ricordano come la spermatogenesi sia un fenomeno continuo fino alla tarda età e consente di ottenere una gravidanza anche in età molto avanzata. Tanto che la ricerca è ora indirizzata allo studio degli effetti dell’invecchiamento non solo sull’efficienza della spermatogenesi, ma anche sull’integrità della struttura del Dna dello spermatozoo e sulla componente genetica.
“Recenti studi hanno dimostrato gli effetti negativi sui parametri nemaspermici di livelli troppo elevati o troppo bassi di vitamina D. È necessario approfondire il ruolo di tale sostanza sulla potenzialità fecondante maschile”, hanno reso noto i ricercatori.