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Rapporto padre-figlio, le tappe evolutive per essere un buon papà

Rapporto padre-figlio, le tappe evolutive per essere un buon papà sin dalla tenera età. L’evoluzione dai 0 mesi ai 18 anni

Rapporto padre figlio, le tappe evolutive Fonte foto Pixabay

La nascita di un bambino è sempre un’emozione immensa per i genitori. L’arrivo di un bebè è sempre collegato al rapporto madre-figlio, alla cura che la mamma ha verso il proprio pargoletto, insomma l’arrivo di un neonato è circondato dall’universo materno. Ma il papà? In tutto questo amore il neo papà che ruolo ha? Poco si parla del rapporto tra padre e figlio, e comunque non se ne parla con il giusto approfondimento che spetta a questa figura che, come la mamma, è indispensabile nella vita di un bambino. Così, i papà sono spesso, costretti a rimanere in secondo piano, e arrancano con tutte le proprie forze per occupare un angolino nella vita del proprio figlio. Lo spazio necessario da dedicare al proprio bambino è importante che ci sia anche da parte dell’uomo di casa. E’ non basta essere “presenti”, no affatto, serve altro, serve di più per instaurare un rapporto degno di questo nome. Un adulto sereno e mentalmente sano è un adulto che da piccolo ha avuto un legame sano e stabile con il papà. Seguire, dunque, le tappe evolutive del rapporto padre-figlio è fondamentale. Ma voi, cari papà, sapete quali sono tali tappe? Cerchiamo di scoprirlo insieme e iniziate sin da subito a creare il vostro rapporto ideale con vostro figlio.

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Le tappe del rapporto padre-figlio: gli step da seguire

rapporto padre figlio, gli step da seguire (Istock Photos)

Uno studio della European psycho-analitic association rivela che i padri italiani sono gli ultimi in Europa: giocano in media solo 15 minuti al giorno con i propri figli. Secondo questa ricerca i papà quando tornano a casa si siedono davanti alla tv anziché dedicarsi alla prole, oppure giocano al computer o passano il loro tempo sui social network. Bisogna ricordare però che il rapporto padre figlio si costruisce fin dalla tenera età e non in età adulta. Infatti il bambino incontra il padre ancora prima di averne una con­creta percezione visiva, quando avverte la sua “figura” e la sua “presenza”. Cioè, fin dalla nascita il bambino sentela sua pre­senza  ed entra in relazione con lui. Relazionarsi non vuol dire at­taccarsi, per cui rientra nella prassi che il bambino dimostri un “attacca­mento” privilegiato verso la madre, ma ciò non esclude la rela­zione con il padre, che sente e identifica at­traverso gli odori, i mo­vimenti, la “figura”, i gesti, i tocca­menti, la manipolazione.

Ciò che si vuole sottolineare ancora una volta è che il pa­dre, come la madre, trasmette al bambino la qualità del suo modo di es­sere presente a lui. La qualità viene espressa attra­verso il modo con cui  si relaziona con il bambino, lo prende in braccio, lo  stringe, gli  rivolge la parola, lo pulisce, gli  dà la pappa. Sono tutti gesti e comportamenti corporei, che costitui­scono la comunica­zione primaria, con i quali padre e madre espri­mono le emozioni positive o negative nei confronti del fi­glio. La comunicazione cor­porea è la base della comunicazione successiva. Il padre, come la madre, ha il proprio sé corporeo da utilizzare nel bene e nel male con il figlio. Il dialogo affet­tivo e la conoscenza reciproca avven­gono attraverso il dialogo dei due corpi. Per capire se anche tu stai facendo un buon lavoro con tuo figlio, scopriamo insieme quali sono le tappe fondamentali in questo rapporto.

1. Tappa: rapporto padre figlio 0-3 anni – il distacco dalla madre

rapporto padre figlio, prima tappa (Istock Photos)

Attraverso l’analisi del contesto familiare e le esigenze di cre­scita e di maturazione del bambino e dei due adulti, emerge che il padre è una figura primaria, assieme alla moglie, nel co­stituire e determinare il clima psicoaffettivo, in cui si sviluppa e cresce il bambino. Tuttavia è stato detto ben poco circa la genitorialità del padre, l’importanza della funzione paterna e circa la sua com­pre­senza nel promuovere e favorire lo sviluppo psicologico del fi­glio. Il bambino nasce da e tra due realtà, quella materna e quella paterna, che determinano la direzione, il limite e il senso del suo sviluppo psichico. Quindi mamma e papà tracciano:

  • la direzione, poiché lo sviluppo pro­cede dalla madre verso il padre; tracciano
  • il limite, in quanto, sul piano psicologico, sembra che non ci sia conquista al di fuori delle relazioni familiari;
  • indicano il senso, poi­ché il significato dello sviluppo si enuclea nella trasmissione della vita.

Lo spazio psichico dell’uomo si evolve quindi tra questi due figure della vita: madre e padre. La maturità del sentimento è ciò che rende l’uomo “uomo”. Essa percorre delle tappe evolutive, che vede il bambino entrare in una struttura predeterminata, in cui fa vari incontri: prima quello con la madre dentro e fuori di lei e poi con il padre, per un sano sviluppo emotivo verso l’indipendenza. Il padre e la ma­dre, presenti o assenti, fanno parte integrante dell’intreccio della vita del figlio.

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Quello che ci si chiede è il significato che il padre assume nella determinazione della personalità del bambino; cioè: se è l’altra figura, oppure se è solo di supporto, al­meno inizialmente, alla funzione materna. Ha fin da subito una sua speci­fica funzione, o con la nascita è di contorno e solo successiva­mente, abbastanza tardi, entra nel cerchio della rela­zione? Si dice che il padre si affianca al bambino per favo­rire il processo di “distacco” dalla madre assumendo una funzione di semplice contenitore della madre. Cioè, viene visto come la persona, che facilita l’indipendenza affettiva e la crescita del bambino, nel suo pro­cesso di distanziamento dalla madre.

Il padre, pertanto, non si col­loca a fianco della madre e del bambino per rela­zionarsi con il figlio, ma ha, invece, una sua parti­colare relazione, che fa­cilita l’acquisizione dell’immagine de­gli “oggetti”, ha una sua specifica presenza  al figlio, senza la mediazione di alcuna al­tra figura, perché lui è l’altra figura diversa, che completa la scena primaria.

Per ciò che concerne la primissima fase di tale rapporto, e cioè quella che va dai 0 mesi sino ai 3 anni, dobbiamo ricordare che questa fase di sviluppo è la più delicata perché è quella in cui si formano le strutture che daranno forma alla personalità. Infatti qui il bambino ha una mente “assorbente”. La sua mente opera cioè inconsapevolmente assorbendo come una spugna tutti i dati che l’ambiente propone.
Il padre, in questo periodo, dovrebbe essere presente, protettivo e stimolante, incoraggiando l’autonomia del piccolo. Quando il bambino non riesce nelle cose va incentivato e mai umiliato.

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2. Tappa: rapporto padre figlio 3-6 anni – fase di scoperta e curiosità

Rapporto padre figlio, seconda tappa (Istock)

In questa seconda tappa, la presenza del padre è fondamentale, specie per un bimbo maschio. Definita fase pre-scolastica. La tappa 3-6 anni vede nel bimbo l’associazione alla mente assorbente, della “mente cosciente”; il bambino ha ancora la necessità di organizzare logicamente i contenuti mentali che ha assorbito nella fase precedente.
Il padre dovrebbe giocare con il figlio in modo costruttivo: no alla lotta fine a se stessa, mentre ben vengano i giochi che stimolano la curiosità. In questa fase poi, al bambino vanno impartite regole e educazione.

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Il rapporto importante con il padre è determinante in questa fase per crescere un bambino che sarà un adulto sano. Se questo rapporto viene vissuto appieno, il bambino ha la possibilità di sopportare senza gravi traumi il distacco dalla fase simbiotica con la mamma, imparando a relazionarsi in modo sereno ed equilibrato con il mondo esterno. In questa fase di scoperta, il papà diventa il simbolo di sicurezza per antonomasia, sia dal punto di vista materiale, sia dal punto di vista emotivo. L’approccio di un bimbo al mondo avviene solitamente in modo cauto e piuttosto diffidente, difatti tendenzialmente si impara prima a dire ‘no’ e poi a dire ‘sì’. Il papà diventa lo scudo fondamentale da interporre tra la paura e il pericolo percepito. Quando la figura paterna è assente, debole o non disponibile, questo meccanismo può alterarsi, lasciando il bambino spaesato e vulnerabile in un mondo vissuto come minaccioso e più grande di lui.

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3. Tappa: rapporto padre figlio 7-10 anni – differenza tra bene e male

Rapporto padre figlio (Istock Photos)

In questa fase, il padre aiuta a distinguere il bene dal male, trasmettendo i criteri di valutazione che corrispondono all’obbedienza/disobbedienza nei suoi confronti. Il codice morale primitivo si forma, infatti, sulla base dell’esempio paterno e soltanto in seguito, con lo sviluppo e il consolidamento della personalità, sarà possibile modificarlo. La trasmissione di questo codice morale non avviene mai attraverso «prediche» e discorsi, ma solo ed esclusivamente con l’esempio. Un padre che bestemmia davanti al figlio non potrà pretendere che il figlio faccia diversamente, perché con il suo comportamento avrà già dato un permesso implicito praticamente impossibile da ritrattare, se non modificando la propria condotta. La crescita ed il continuo confronto con il mondo esterno porteranno, poi, il ragazzo a modificare con fatica le norme errate trasmesse da padri troppo autoritari, punitivi o rigidi e tale processo sarà ovviamente più difficile nel caso di padri immorali o delinquenti. In questa fase il bambino raccoglie i frutti di ciò che ha seminato nella fase prescolastica.
Il padre deve essere presente, autorevole ma non autoritario, e lasciare al bambino autonomia di scelta. Non deve essere un amico confidente, ma nemmeno un padre padrone.

4. Tappa: rapporto padre figlio 10-18 anni – vietato giudicare il figlio

Fonte: Istock

In questa fase, probabilmente la più delicata del bimbo che si accinge ad essere un piccolo uomo, il padre deve essere sì presente ma senza giudicare i comportamenti del figlio. Cosa è consentito? Premiare o anche punire i comportamenti sbagliati ma senza giudicarli. Il padre dovrebbe rappresentare il principio ordinatore, fornire regole e valori. Un buon padre si espone indicando ai figli cosa è giusto e cosa non lo è, anche adottando il meccanismo dei premi e delle punizioni. Un’altra cosa da evitare è sicuramente l’umiliazione. I padri che prestano più attenzione agli elementi negativi del figlio e li sottolineano senza riconoscere gli aspetti di potenzialità già presenti e sviluppati, provocano una profonda svalutazione e la sensazione di non essere mai all’altezza o sufficientemente competitivi rispetto al mondo esterno.

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Dopo i 18 anni, il rapporto padre figlio è ormai sviluppato, nel bene e nel male. In questa fase, un padre che ha “lavorato” bene il suo rapporto con il figlio, dovrebbe ora, lasciare lo spazio al dialogo e all’ascolto. Il papà dovrebbe guidare il ragazzo nelle scelte scolastiche e lavorative, ricordandosi che deve dare soprattutto il buon esempio poiché i figli (maschi) imparano da quello che il padre fa e sopratutto come quest’ultimo si comporta nei confronti degli altri, familiari e sconosciuti.

I comportamenti che un padre non deve adottare con il proprio figlio maschio

padre e figlio come comportarsi (Istock)

Per essere un buon papà vi sono alcuni comportamenti da evitare assolutamente con il proprio bimbo. Abbiamo accennato al non giudicare e umiliare il proprio figlio in età scolastica – anche se questo è da intendersi in tutte le fasi dello sviluppo del bimbo. Altri comportamenti che possono danneggiare la buona riuscita psicologica del bimbo possono essere:

  • Troppa autorità: un padre troppo autoritario, che impone regole rigide e inflessibili non sarà un buon padre. La disciplina deve esserci ma, come per le api che vengono attratte dal miele anziché dall’aceto, la stessa cosa vale per il bambino. Dunque una dose di “polso fermo” specie su alcuni comportamenti sbagliati del bimbo non è un male, ma questo non deve sfociare in uno stile educativo fisso.
  • Evita di proiettare ansia e insicurezza. I padri-chioccia, super attenti e protettivi, che cercano di occuparsi di tutto e di prevenire qualsiasi problema impediscono quel sano processo che rende autonomo e forte il figlio e gli sottraggono la possibilità di allenarsi in vista dell’inserimento nella rete sociale. L’ansia paterna rischia sempre di essere tradotta dal bambino nella paura di pericoli reali, provocando timori e insicurezze profonde e difficilmente rimovibili.
  • Non mostrarti imprevedibile o poco coerente: I padri che prima permettono e poi proibiscono la stessa azione, o viceversa, provocheranno nel bambino delle reazioni di difesa da questa figura che non garantisce sicurezza, ma, al contrario, la minaccia perché trasmette imprevedibilità e lascia la sensazione di non sapere mai che cosa aspettarsi.
  • Non criticare mai la madre dei tuoi figli: specie in loro presenza. I padri che svalorizzano costantemente le madri criticando le loro modalità educative o di cura dei figli cresceranno dei figli che non avranno rispetto verso la donna in genere. Saranno padri crudeli e per nulla in empatia con il senso della famiglia.

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