Nel mondo sono ancora praticate e sono un’offesa anche per le occidentali
Mutilazione genitale femminile: una definizione che non rende affatto l’idea dello scempio che 91 milioni di donne subiscono (solo in Africa). Il 6 febbraio si celebrerà la Giornata Mondiale per l’eliminazione di questo spregevole gesto. L’ha istituita l’ONU nel 2003. Sono argomenti forti, ma vanno affrontati per essere compresi.
Esistono vari tipi di operazione, uno più brutale dell’altro. La circoncisione, cioè l’escissione del prepuzio o cappuccio del clitoride. La recensione, ovvero il taglio del clitoride e di tutte o parte delle piccole labbra. La infibulazione, l’asportazione del clitoride, delle piccole labbra e di due terzi delle grandi labbra. I due lati della vulva vengono poi ricuciti per occludere l’accesso alla vagina, lasciando solo una piccola apertura.
Vi lasciamo solo immaginare il dolore brutale che queste donne provano durante l’operazione, e dopo. Ogni rapporto sessuale diventa un vero e proprio incubo di dolore.
Il fenomeno è stato monitorato, oltre che in Africa, anche in altri 27 Paesi. Presso alcune culture viene eseguita i primi giorni di vita della bambina, in altri verso i 6-7 anni. I rischi? Dall’emorragia allo shock postoperatorio, fino alla morte. Ma ancora più agghiaccianti sono le complicanze sul lungo periodo: infezioni croniche, cisti, mestruazioni con fitte laceranti e 500mila decessi di donne durante il parto.
Waris Dirie, ex modella somala infibulata, è testimonial e ambasciatrice ONU, e si batte da anni contro le mutilazioni genitali.