Toy Story 3: La grande fuga

Dal 7 luglio nelle sale cinematografiche

Andy è in partenza per il college, sta svuotando la sua stanza e la madre lo obbliga a scegliere che fare dei vecchi giocattoli. Loro, i giocattoli, già conoscono il proprio destino, da anni Andy non gioca più come lo vediamo fare nella fenomenale sequenza d’apertura (un gioiello di racconto caotico infantile), volubili come sono però rimangono offesi dal trattamento riservatogli e quando un malinteso li fa finire nello scatolone destinato all’asilo di Sunnyside prendono l’evento di buon grado.

Potendosi permettere il lusso di non dover introdurre dei personaggi già noti il film si concentra sui nuovi comprimari, tutti dotati di personalità in linea con il genere carcerario (tranne Ken e Barbie straordinari outsider a modo loro), e affronta con più complessità la mitologia della serie, cioè quale sia il rapporto dei giocattoli con i propri padroni. Devono rimanergli accanto a tutti i costi? Possono ribellarsi? Hanno diritto a sentirsi feriti? La Pixar sembra sostenere di no, parteggiando a prescindere con i bambini e non con i protagonisti.

Al terzo film la serie di Toy story invece che afflosciarsi si dimostra ancora vitale, anche in virtù della maturità sempre maggiore dello studio di produzione, forse abbiamo visto film Pixar più solidi di questo ma dal punto di vista visivo si toccano nuove vette utilizzando le innovazioni raggiunte nelle opere precedenti come la ormai piena padronanza (tecnica ma anche espressiva) di diverse tipologie di filtri che scimmiottano gli obiettivi delle macchine da presa come si vede nelle scene di caos infantile all’asilo.
Nonostante sia parlato Toy story 3 è un film che comunica quello che conta solo visivamente, capace di smuovere lo spettatore con un raggio di sole al tramonto che entra dalla finestra o con lo sguardo colmo di sentimenti complicati, oscillanti tra paura e solidarietà, di un personaggio digitale posto di fronte alla sua ineluttabile fine, mano nella mano con i propri compagni. Sembra straordinaria abilità recitativa ma è in realtà scrittura per immagini e musica, non si tratta dell’espressività di sintesi di cui sono capaci i computer Pixar ma del culmine narrativo raggiungibile di un arte audiovisuale che non abbisogna di parole.
Portate i fazzoletti
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